domenica 22 marzo 2015

SALVIAMO L’ABBAZIA DI SAN NICOLA DI CASOLE – OTRANTO - GIORNATA F.A.I. DI PRIMAVERA NEL SALENTO

L’abbazia di San Nicola di Casole, situata a pochi chilometri a sud di Otranto, fu fondata nel 1098 per volere di Boemondo I, principe di Antiochia e di Taranto e figlio di Roberto il Guiscardo. Il nobile normanno donò l’appezzamento sul quale fu costruito il cenobio ad una comunità di monaci Basiliani e concesse loro dei fondi cospicui. Tale scelta, tuttavia, non fu uno slancio di generosità. Il popolo normanno, infatti, giunto in Terra d’Otranto nell’XI secolo, mirava ad accaparrarsi la benevolenza dei Salentini e dei Greci presenti in questa zona.
Fu così che nacque il monastero di Casole che ben presto divenne “il vero ponte di unione e di transito tra la cultura orientale e quella latina” (Antonio Antonaci).
Dai mattoni di queste mura trasudava la cultura nella sua forma più pura. Trasudava la saggezza dei monaci italo-greci che, detentori del patrimonio culturale e linguistico classico, composero poesie in lingua greca, ignari che tali lavori, in futuro, darebbero stati considerati i primi esempi di “letteratura volgare” in Italia, quella stessa che con dante Alighieri raggiunse il suo massimo splendore divenendo la “letteratura italiana” per eccellenza.
Nell’abbazia idruntina si raccolsero quattro rimatori, due laici e due religiosi, e fondarono un “circolo poetico”. Oltre all’abate Niccolò Nettario, grande conoscitore delle lingue classiche e guida dell’intero gruppo, vi erano Nicola d’Otranto, Giovanni Grasso e Giorgio di Gallipoli, tutti sostenitori dell’Umanesimo italo-bizantino nel Salento. Nei loro componimenti, perfetta fusione tra sacro e profano, si palesavano l’Uomo e la sua storia. Inoltre, dichiarandosi fautori dell’Impero nelle controversie contro la potenza del papato, rivolsero il loro sguardo anche verso la politica.
E’ necessario altresì ricordare che a Casole fu eretta un’imponente biblioteca, considerata una delle più ricche e consistenti dell’Occidente. Aperta a chiunque volesse visitarla, fu rasa al suolo nel XV secolo. Solo alcuni tra i suoi innumerevoli volumi si salvarono grazie al cardinale Bessarione, metropolita di Nicea e patriarca di Costantinopoli. Egli, infatti, amando profondamente la letteratura latina e greca, durante i suoi numerosi viaggi che lo portavano nei monasteri greco-bizantini, era solito impossessarsi di manoscritti greco romani. Alla sua morte, tali rarità furono divise fra le diverse biblioteche presenti in Europa. Col passare del tempo, il monastero di Otranto accrebbe sempre più la sua importanza a livello nazionale e internazionale. La sua fama toccò l’apice  quando divenne, nel XIII secolo, una scuola a tutti gli effetti: la prima scuola “pubblica” di Terra d’Otranto con annessa la prima “Casa dello studente” europea. Tale istituzione  attirava giovani da tutte le parti e offriva lezioni su numerose discipline: astronomia, musica, retorica, grammatica, teologia, filosofia, scienze naturali, ecc…
Questo affascinante luogo di studi e di cultura incrementò il suo prestigio anche grazie allo “Scriptorium” esistente, dal quale uscirono, tra il XIII e il XIV secolo, i codici degli scritti di Giovanni Damasceno, di Gregorio di Nazianzo e di Cirillo da Alessandria.
I monaci copiavano magistralmente i testi classici, e tali lavori giunsero nei maggiori istituti teologici dell’Oriente, in città come Costantinopoli, Alessandria ed Atene. I codici casolani oggi vengono custoditi nelle più note e fornite biblioteche del periodo medievale esistenti nel mondo : Vaticana (Roma), Marciana (Venezia), Medicea (Firenze), Nazionale (Madrid), Sorbona (Parigi), ecc.
La storia del cenobio di San Nicola di Casole giunse al suo epilogo quando nel 1480 i Turchi sbarcarono sulle coste salentine, occuparono Otranto e razziarono tutto il territorio circostante. Anche il monastero basiliano dovette piegarsi volontà degli ottomani e del destino. Una “perla” così preziosa fu rigettata nelle profondità marine e scomparve lentamente nell’oblio. Di questo crogiolo d’intelletti oggi è rimasto solo un mucchio di macerie, un cumulo di pietre arcaiche e ricche di sapienza che guardano impotenti un passato che sfuma. Tutt’intorno si erge una masseria dove un gruppo di contadini coltiva la terra e produce latticini, calpestando un suolo che è stato derubato della sua dignità. E nessuno fa qualcosa, tutto tace, e la storia deve arrendersi davanti ad un finale che è tutt’altro che “lieto”.
Se qualcuno di voi dovesse visitare tali “rovine”, cerchi di guardare al di là delle apparenze. Apra i suoi orizzonti e voli lontano, indietro nel tempo, quando tutto era diverso. Ciò che era non è più, ciò che è rimasto è solo la consapevolezza che il fato ci ha privato di un tesoro inestimabile.

Solo “oggi” Domenica 22 marzo 2015 grazie al F.A.I. dalle ore 10.30 alle ore 16.30 sarà possibile visitare il luogo. Gli alunni dell’Istituto Alberghiero dell’indirizzo Turistico di Otranto faranno da guida lungo un percorso tematico tracciato dai rappresentanti FAI del Salento.

domenica 14 settembre 2014

PER UNA CULTURA DELL’INTELLIGENCE Una maggiore attenzione verso una "cultura" dell'Intelligence, soprattutto rivolta alla tutela della gestione della rete e dei beni culturali, del turismo e del mondo agroalimentare, farebbe dell'Italia una Nazione leader.

Quanto sta accadendo all’Economia italiana è anche conseguenza di una forma di aggressione all’Italia che nell’ultimo ventennio ha utilizzato il Potere della Rete (internet). Invisibili, incomprensibili per i più, i tentacoli dei sistemi di gestione della conoscenza sono entrati in Italia, così come in tutti i Paesi raggiungibili da Internet. In Italia, però, i tentacoli della piovra più intelligente del mondo, gestita da multinazionali estere (ovviamente), hanno pescato molto più che in ogni luogo del mondo. Hanno pescato e imbrigliato nella “loro” rete assetata di capitali il grande malloppo miliardario dei Beni Culturali, del Sistema Turistico, del mondo Agroalimentare, Tessile, Editoriale e molto, molto di più. Un capitale così prestigioso da rappresentare il più noto e incontestato Brand che nel pianeta è sinonimo di valore: il Made in Italy. La politica italiana ha certamente molte colpe dovute all’inestinguibile male della presunzione dell’arroganza, ma quella di avere consentito prima e favorito poi la gestione della sua anima stessa a società estere, è la colpa più grande che non trova assoluzione. Parliamo di centinaia di miliardi e negli anni di migliaia di miliardi che una indegna gestione del nostro capitale culturale ha ceduto e di conseguenza ha perso. Con essi, centinaia di migliaia di posti di lavoro. L’incapacità di sostenere progetti innovativi in questa direzione, è il secondo gravissimo peccato che non potrà trovare assoluzione e che ha causato la diaspora delle intelligenze da una Nazione – l’Italia – che paradossalmente grazie solo alla diaspora dalla propria terra, sta arricchendo il mondo di capacità ed esperienze tra le più sofisticate e innovative. Tutto ciò è fisiologico, lo insegna l’antropologia. Ma oggi abbiamo bisogno di fare soldi seriamente e in tutta fretta. Nel salotto di “Porta a Porta” condotto da Bruno Vespa il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha detto una grande verità: il mondo è cambiato e la rete in questo cambiamento con la comunicazione, il modo di relazionarsi e di combattere le moderne battaglie, sono frutto della visione di persone alle quali quasi nessuno, in principio, ha dato credibilità. Pensiamo a Stive Jobs e alla Apple, a Google, a Microsoft, a Expedia, Booking.com, etc, etc. Noi tutti viviamo in un grande buco nero che si chiama Google: una mostruosa falla nell’economia italiana che si presenta con la dignità di un motore di ricerca per vederci qualsiasi cosa paghi un posizionamento in prima pagina, al posto della verità. Così facendo ad essere messa in discussione è la Verità e con essa la Qualità, anche quella della vita se quando l’utente che ad esempio cerca cibo sano, il motore di ricerca ti propone pasticche per dimagrire o altro, dannose alla salute. Ogni etica muore in questo buco nero che fagocita e gestisce conoscenza solo ed esclusivamente per fare soldi. Poiché abbiamo preso ad esempio un motore di ricerca qualsiasi, possiamo dire che la tesi di chi scrive è oggi suffragata, dall’Autority europea che ha ottenuto che Google scriva che essa è una “società” e in quanto tale fa business. Non è molto ma è già qualcosa avvisare l’utente che nel fare una ricerca deve sapere preventivamente che il frutto della sua ricerca può essere non ciò che è vero ma ciò che paga.
Sul punto non si può che essere in armonia con quanto recentemente dichiarato da Elia Valori che esce allo scoperto – visti i tempi – per rendersi promotore di una necessità impellente: maggiore attenzione verso una “cultura” dell’Intelligence. Attenzione!, ciò non significa che la nostra Intelligence non sia tale, anzi! Ne siamo orgogliosi. La riflessione è grandangolare e include ciò che rappresenta dati incontrovertibili e che appartengono ad una cultura assolutamente moderna come lo è la Rete con i suoi sofisticati utilizzi rivolti anche alla produzione di economia. Oggi una semplice “App” che offre un discreto servizio può essere scaricata tranquillamente da 100 milioni di utenti e se essa è scaricabile ad un euro incassa 100 milioni di Euro. Il tutto anche in pochissimi giorni. Sono stati raggiunti record da 1 miliardo. Immaginiamo solo negli ultimi 10 anni quante royalty (miliardi), anche del valore di decine di euro come quelle dei servizi per il Turismo, sono state versate dalle Aziende italiane per la vendita, ad esempio, dei posti letto. Il clamoroso fallimento della piattaforma del turismo del Governo italiano www.italia.it è la certificazione dell’incapacità del sistema politico italiano che ha disposto e gestito questo spreco. Oltre 50 milioni di Euro per ottenere il nulla. Cosa centra in tutto questo l’Intelligence? Ad evitare il peggio.
Come tutte le cose anche l’Intelligence, però, è correlata alla politica italiana che ci dice di guardare le stelle ma non riesce neanche a vedere il dito che le indica. Dunque, a chi non vede neanche il proprio dito com’è possibile chiedere di avere una visione lungimirante per dare spazio all’intelligenza dell’Innovazione perché essa produca economia? Abbiamo parlato di Agenda Digitale. Propongo il ritorno all’Abbecedari digitale. Torniamo a scuola. E’ meglio. Riuscire ad amministrare “con intelligenza” il nostro grande Patrimonio Culturale potrebbe ancora evitarci una caduta fatale. L’Italia di oggi è come una Madre che per sopravvivere deve nutrirsi della creatura che ha nel suo ventre. Come fare? Trovare il coraggio di dare spazio a chi ha idee e capacità. Gli uomini dell’Intelligence, sono certo, sanno dove trovarli. La politica, se intende dimostrare che ha volontà, riconosca di non essere capace. Figli, fratelli e sorelle, cugini e nipoti, amanti e simpatizzanti, non sono più sufficienti. Oggi, allo stato attuale, non più. Se Montezemolo, dico Montezemolo, ha compreso che un passo indietro sarebbe stato utile al bene della Ferrari simbolo del Made in Italy, chiunque può ritenere che un pizzico di umiltà non sia lesiva del proprio onore bensì un bene per se stessi e per la Nazione.
Ora qualche dato perché possiamo riflettere insieme. Sono relativi allo scorso anno. Meditate politici, meditate:
Google: 50,17 miliardi di Dollari di fatturato – 10, 73 miliardi di dollari utile netto – 53.546 dipendenti
Apple: 156,508 miliardi di Dollari di fatturato – 41,733 miliardi di dollari di utile netto – 72.000 dipendenti
Microsoft: 73,72 miliardi di fatturato – 16,97 miliardi di dollari utile netto 94.000 dipendenti
Oracle: 37,1 miliardi di fatturato – 10 miliardi di dollari di utile netto – 105.000 dipendenti
Intel: 53 miliardi di dollari di fatturato – 11.miliardi di utile netto – 104.77 dipendenti
E-bay: si sa solo che opera sul mercato telematico di ben 38 Paesi
Pay pal: circa 300 milioni di conti attivi in 192 paesi del mondo e rappresenta circa il 36% di fatturato della sua proprietaria e-bay. In ogni caso parliamo di cifre superiori a 100 miliardi di dollari anno
                                                                                              A cura di  Fabio Gallo

                                                                                            www.comunicareitalia.it

mercoledì 6 agosto 2014

9 agosto 2014: 50° di sacerdozio di don Adelino Martella

Spesso nei periodi di crisi esistenziale  che sovente caratterizzano il nostro vivere quotidiano,  nel momento in cui sembra che anche la percezione di ciò che si è sfugga  al soggetto che si interroga, capita di guardare al nostro vissuto trascorso per cercare le proprie radici del nostro “essere”  ed  “esserci”.
Affidarsi alla memoria aiuta la ricerca storica e psicologica. Le tappe della nostra vita con i loro significati transeunti e  duraturi emergono pian piano dal limbo dell’oscurità che li avvolge.

Molte sono le  situazioni del presente che  hanno trovato una  spiegazione nella lettura di un passato personale, rivisitato  con la serenità di chi vuole capire se stesso, in un approccio metacognitivo spesso salutare.

Non è di natura problematica, per fortuna, la ragione che mi spinge a riaprire l’album dei miei ricordi, ma una ricorrenza : i 50 anni di sacerdozio di un fraterno amico,  don Adelino Martella, che ha lasciato un’impronta indelebile nella mia storia personale.

Il suo tempo spesso è coinciso con il mio tempo, in un incontro continuo  provocato  da un vissuto, comune, condiviso e dialogante. E non poteva essere altrimenti……

Quanti ricordi affiorano dall’albo “della memoria che si sfolla”, ma che nel mio caso hanno superato la barriera del Tempo  restando indelebili e presenti  a me stesso, in ciò che io sono oggi.

Fine anni ‘60! Per don Adelino  questi sono gli anni che coincidono con  l’incipit della sua attività sacerdotale;  per me, invece sono stati gli anni che hanno determinato  il mio ingresso nel seminario ginnasiale della diocesi di Otranto, che aveva la sede nel la struttura diocesana adiacente la valle dell’Hydro  a Otranto. Sono gli anni in cui il Concilio Vaticano II sollecitava la Chiesa ad una maggiore apertura verso le tematiche cosiddette “laiche” e a dare coerenti risposte con la Pacem in terris agli uomini di buona volontà senza chiudersi o nascondersi dietro paradigmi dogmatici.

Don Adelino in seminario  svolgeva la funzione di “Padre spirituale” a favore di ragazzi che, pur nell’incertezza del proprio futuro,  comunque si erano predisposti in virtù di una “chiamata” a chiarire i significati nascosti dell’essere vocato.

Il “ Padre Spirituale…”: una figura a me sconosciuta!

Mio padre, quello naturale, mi aveva lasciato due anni prima. Un trauma le cui tracce di tanto in tanto ancora affiorano. Cercavo in tutti i modi di sostituirlo. Capivo, tuttavia, che era impossibile!

Don Adelino si faceva notare per il suo dinamismo, per le sue doti di organizzatore, per il suo forte ascendente sui giovani, la sua vitalità, intraprendenza e lungimiranza, cultura, dimensioni valoriali di “un padre” che tutti  avrebbero voluto avere e con il quale condividere il difficile e problematico  cammino dell’adolescenza.

Se per gli altri la scelta di un padre spirituale poteva sembrare una delle tante “regole” dettate dal vivere in una comunità cristiana seminariale, per me è stata, invece, quasi una scelta indotta dal bisogno di compensare un “vuoto” che il destino aveva contribuito a creare nella mia vita.

Qualcosa mi sollecitava ad aver fiducia in lui.

Iniziava  così un percorso di scoperta condivisa del  “sé”,  finalizzato a segnare la mia vita nel tentativo fatto di successi e fallimenti di definire un profilo orizzontale e ascetico/trascendentale, da cui partire per orientarmi verso un opzione possibile, quella sacerdotale.

Don Adelino in tale contesto  è stato per me una guida e una figura esemplare. Egli è stato in ultima analisi ciò che io volevo essere e avrei voluto essere e che, per un insondabile mistero che avvolge la vita di ognuno di noi, non sono poi diventato. I modelli positivi spesso funzionano avviando nella persona in formazione un itinerario di crescita coerente.

Quanti  stimoli culturali, quante letture e relative  meditazioni lo hanno visto protagonista…

Una sola la sua chiave di lettura : rileggere in chiave cristiana il presente, adeguando il  messaggio evangelico alla storia personale di ognuno di noi,  in un suo “apprendistato sacerdotale” dentro cui emergevano i tratti di una personalità forte, umile e, a tratti, “ribelle”.

Molti i ricordi che si affastellano nella mia mente, aiutata in questo recupero dalle numerose, e ormai sbiadite dal tempo,  foto che hanno fissato per sempre alcuni momenti della nostra vita.

Alcune località : Varallo Sesia (VC), Ballino (TN), San Vito di Cadore (BL). Impossibile non ricordare il suo spirito di avventura durante le numerose escursioni  sulle montagne che circondano le succitate località.

La conquista (non è un eufemismo…è successo davvero!) del Monte Rosa è emblematica per poter rappresentare alcuni tratti del suo carattere e della sua indole : don Adelino attrezzato con scarponi, calzettoni di lana, pantaloni alla “zuava”, un maglione dai colori vivaci, zaino e piccozza…(un vero montanaro); noi al seguito con scarpe da ginnastica, tuta, qualcuno in geans  e un bastone arrabattato lungo i sentieri che la nostra impavida e improvvisata guida montanara apriva sotto il nostro progressivo, sudato, sincrono,  incedere e arrampicarsi su per la vetta.

Poi  l’arrivo in vetta…l’incontro con gli alpini del C.A.I.  in raduno presso un rifugio…I complimenti per l’impresa realizzata…la targa ricordo…la celebrazione dell’Eucarestia...l’incontro inebriante con l’infinito e i suoi  “spazi sovrumani e la profondissima quiete”...cogliere la prima stella alpina (che conservo tuttora)…toccare il Cielo e confondersi con esso…

 Coraggio, protagonismo, determinazione, decisionismo, condivisione, consapevolezza del traguardo e dei rischi ad esso correlati, divulgatore di valori e principi cristiani…..queste sono le qualità, assolutamente eccezionali,  vissute da don Adelino  in prima persona e progressivamente diventate indicatori e parametri valoriali per la nostra formazione di adolescenti in erba.

La pagina dell’album delle foto e dei  ricordi schiude i volti  di  due donne : Fiorella e mia madre, due storie diverse e contigue alle quali mi riesce difficile non accostare  la figura di Don Adelino e che mi piace ricordare in questa testimonianza per  i valori sottesi rilevabili da una attenta lettura della narrazione che viene fatta.

L’incontro scoperta con Fiorella, il mare cristallino di Andrano, le “caramelle” di quel mare limpido  pescate da don Adelino, un provetto uomo di mare,  e gustate sul posto, l’ amorevole accoglienza della mamma di don Adelino, figura chiave nella sua vita, il pranzo preparato con i prodotti  e  i frutti della terra salentina, la visita alla Chiesa di Diso, un autentico scrigno pieno di tesori artistici che hanno suscitato l’interesse di Fiorella, esperta antiquaria di Lugano (Svizzera), l’orgoglio di don Adelino, parroco di Diso, nel raccontare con autentico atteggiamento da erudito la storia culturale e artistica di quel sacro luogo espressione  della spiritualità di quel popolo.

Mia madre : l’avanzare dei ricordi viene rallentato da qualche lacrima….

Caro Adelino! Mia madre mi ha insegnato con il suo usuale atteggiamento materno speso verso tutti coloro che si relazionavano con lei  che la maternità fisiologica poteva  essere trasferita e vissuta in una dimensione spirituale. Le tue visite nella sua casa, non preannunciate “ mai”, per mia madre erano una autentica festa; lei provava la stessa  gioia che si prova quando un figlio più grande, che vive lontano, ritorna nella sua casa.

Ho parlato di mia madre perché lei,  in questa ricorrenza del tuo 50° di sacerdozio, avrebbe “testimoniato”, la  tua umanità, la tua bontà e, soprattutto, l’essere stato vicino a suo figlio…

Un augurio : continua a spargere intorno a te i valori dell’amore, dell’amicizia, dell’umiltà, della semplicità e pulizia degli affetti.

                                                                                                                             Prof. Dolce Giuseppe

giovedì 24 aprile 2014

Soleto: Cenni alla leggenda



Dalla leggenda...
...decise di costruire il monumento in una notte di tempesta. Evocato dal regno delle tenebre con artifici diabolici un esercito di streghe, di demoni e di altri spiriti infernali, egli ordinò loro di erigere, entro la notte stessa, un magnifico e monumentale campanile. " Badate bene " ammonì…. "dovete compierlo prima che sorga l'alba; non solo, ma dovrà essere un'opera mirabile, un lavoro così fine e prezioso da stupire il mondo intero".

Subito la diabolica schiera si mise a lavorare al lume delle torce e per ore e ore fu un andirivieni incessante per l'aria, accompagnato da rauchi richiami, di urla, da sghignazzate, da fischi e da strepiti che creavano una confusione indescrivibile.

Tutto quel pandemonio, com'era stabilito, cessò d'incanto al canto del gallo. Ma se diavoli e streghe furono pronti a scomparire allo spuntare del giorno, non altrettanto svelti furono alcuni demonietti che avevano prestato la loro opera in qualità di aiutanti.

In quel momento, essi si trovarono sulla cima del campanile, ai quatto angoli, e furono colti di sorpresa. Invano, appena s'accorsero che gli altri spiriti infernali s'inabissavano, tentarono, anch'essi, di seguirli. Ormai il sortilegio era cessato e così essi dovettero restarsene lassù, trasformati in pietra, a completare con le loro figure la decorazione del campanile...

 
Tratto da "Restauri Satanici" di Toni RIZZO
"La leggenda, la storia, il progetto di restauro e gli ultimi interventi di consolidamento chimico raccontati da un architetto che ha affrontato il problema della salvaguardia del Campanile di Soleto"

Breve storia

V secolo d.C. : Soleto entra a far parte della sfera politica di Bisanzio (oggi Istanbul). Ha inizio una progressiva grecizzazione della comunità soletana, che riguarderà tutte le dimensioni della sua vita sociale, da quella economica a quella culturale, da quella religiosa a quella linguistica.
Secondo Vittorio Zacchino Soleto " in questo periodo venne probabilmente elevata a sede episcopale ed ebbe quel vescovo greco o archimandrita cui accenna una vaga e non documentata tradizione ".

XI secolo d.C. : Si afferma il rito greco e la parlata romanica

XII secolo d.C. : Gli Angioini la scelgono a capo dell'omonima contea con giurisdizione su Galatina, Zollino, Sternatia, Aradeo, Cutrofiano, Sogliano.

XIII secolo d.C. : Carlo I d'Angiò nomina Conte di Soleto Dionigi di Castro (1270)
Qualche anno dopo il feudo di Galatina e quello di Soleto risultano in possesso di Azzolino de Tuzziaco, ammiraglio del regno e consanguineo del Re; alla morte di Azzolino la Regia curia vi fa eseguire accertamenti per determinarne il reddito annuo e la consistenza demografica. Nel 1273 ne concede investitura a Filippo de Tuzziaco cui subentra, nel 1277 il figlio Garzone.

XIV secolo d.C. : Soleto fu sotto la Signoria politica prima dei Del Balzo con Ugo e Raimondo, e, poi, gli Orsini con Niccolò, conte di Nola, al quale lo zio Raimondo Del Balzo raccomanda di donare la contea di Soleto al secondogenito Raimondo col patto di aggiungere il cognome Del Balzo al proprio. Ma come il conte di Nola venne meno alla promessa per favorire il primogenito Roberto, l'ambizioso Raimondo - impropriamente ribattezzato Raimondello - abbandonò penati ed affetti e si buttò nelle avventure militari.
Dopo una vittoriosa guerra in difesa del Santo Sepolcro Raimondello occupò la contea di Soleto. 

XV secolo d.C. : muore Raimondello e gli succede la vedova consorte Maria d'Enghien. Alla sua morte i domini della madre venivano ereditati dal figlio primogenito Giovanni Antonio. Dopo che questi fu ucciso dai sicari del re Ferrante d'Aragona, questi fece sue le ricchezze degli Orsini compresa la contea soletina. Soleto subisce le incursioni e le devastazioni dei Turchi acquartierati in Otranto. Inizia la sua definitiva decadenza ( 'parvum oppidum' afferma il Galateo ).

1479 : viene sottomessa ai Campofregoso.

1485 : viene sottomessa ai Castrista-Scanderberg

1539-1606 : è posseduta dai Sanseverino
Filippo III la cedette per 102.000 ducati a Giovan Vincenzo Carafa il quale la rivendette nel 1615, rimettendoci diecimila ducati, al genovese Giovan Battista Spinelli.
Da uno speculatore all'altro la misera cittadina mutò padrone di frequente fino al 1806, allorché la legge sull'abolizione del feudalesimo, promulgata da re Giuseppe Bonaparte, la emancipoò dal giogo dei Gallarati -Scotti.

XVI secolo d.C. : Amministrazione spagnola sul regno di Napoli. L'insostenibile pressione fiscale ridusse alla fame università e cittadini della Terra d'Otranto.

1569 : visita dei feudatari Bernardino Sanseverino e Donna Isabella della Rovere ai quali viene dedicato un "castello di fuochi artificiali bellissimo"

1571 : feroce pestilenza
 
1572 : Inquisizione per eresia dell'arcidiacono.

XVIII secolo d.C. :penetrazione dell'illuminismo riformatore napoletano

1799 : la ventata giacobina sollevata dalla proclamazione della repubblica napoletana investì Soleto. Il 10 febbraio dello stesso anno viene piantato in piazza l'albero della libertà, simbolo repubblicano ad iniziativa del sindaco Marcello Greco, di Carlo Sergio e di Pietro Viva. La popolazione vi intervenne con coppole rosse, bandiere e coccarde tricolori cantando inni di libertà con accompagnamento di tamburi e violini.
Successivamente vi fu la restaurazione borbonica e la reazione sanfedista che inquisì i responsabili e gettò in carcere il povero Sambati, colui che, insieme a Ignazio e Ferdinando Greco, Giuseppe Saverio Guglielmi, aveva piantato l'albero della libertà.
 
1820 : Prima di questa data a Soleto si era affermata la Carboneria con l'attivissima 'vendita' denominata "Sole Rallegrato" cui aderirono i Grandi maestri Giuseppe Attanasi e Luigi Orsini e, inoltre, Bonaventura Sergio, Salvatore Bancarella, Alessandro, Felice e Francesco Manca, Giovanni Romano, Carlo e Donato Mangione, Bonaventura Nuzzaci, Luigi Renna, Giuseppe Ripa, Giuseppe Salvatori, Domenico Scarpa, Ottavio Serra, Francesco Valente, Ignazio Sergio.
Alcuni di questi carbonari combatterono tra i legionari del generale Guglielmo Pepe per difendere la Costituzione, ma subirono le feroci repressioni borboniche, l'epurazione o la destituzione dagli impieghi.

Nonostante il silenzio delle carte si ha ragione di supporre che l'ansia libertaria dei soletini non sia scemata fino al conseguimento dell'unità e che pure la piccola Soleto abbia offerto un sincero contributo alla grande causa italiana.




Le notizie di questo post sono state estratte dal Volume
"SOLETO - PAESI E FIGURE DEL VECCHIO SALENTO"
a cura di Aldo de Bernart - Volume secondo - di VITTORIO ZACCHINO E MICHEL BERGER - CONGEDO EDITORE - Pubblicazione della BANCA POPOLARE DI PARABITA ( oggi BANCA POPOLARE PUGLIESE )